martedì 19 aprile 2016

Marco Tabellione


Marco Tabellione (5.5.1965 Musellaro-PE), laureato nel '91 in lettere moderne all'università "G. D'Annunzio" di Chieti, con una tesi sulle avanguardie poetiche degli anni Sessanta, specializzato alla LUISS di Roma in giornalismo. Collabora con il quotidiano Il Centro e riviste letterarie nazionali e insegna materie letterarie in un liceo. Vincitore a Perugia nel 1990 del premio di poesia intitolato a Sandro Penna, nel 1998 ha vinto il premio “Giovani autori” curato dalla Fondazione Caripe di Pescara, mentre nel 1999 il premio “Palazzo Grosso” di Riva presso Chieri (Torino) con il volume di poesie Incanti. Nel 2003 con la raccolta Tra cielo e mare è stato tra i vincitori del concorso “Adottiamo uno scrittore” indetto dalla provincia di Pescara, e nel 2004 si è classificato secondo al premio abruzzese Sant’Egidio indetto dalla cooperativa Tracce di Pescara. Per le edizioni Tracce di Pescara ha pubblicato nel 1995 la raccolta di poesie Gli uni e gli altri bui e il saggio sul giornalismo televisivo L’immagine che uccide. Nel 1998 è stata pubblicata la raccolta di poesie InCanti, sempre per le edizioni Tracce, mentre nel 2000 le edizioni Samizdat di Pescara hanno curato la raccolta di versi, L’alba e l’ala. Nel 2001 è uscito il suo primo romanzo Il riso dell’angelo per le edizioni Tracce, mentre risale all’anno 2002 il saggio di letteratura La cura dell’attimo edito da Samizdat di Pescara. Nel 2003 è uscita l’ultima raccolta di poesie intitolata Tra cielo e mare e pubblicata anch’essa da Tracce. Nel 2009 è uscito il romanzo L’isola delle crisalidi per le edizioni Runde Taarn, che nel 2010 ha vinto il premio Zenone riservato alla narrativa. Lo stesso romanzo L’isola delle crisalidi nel 2010 è risultato finalista al premio Lamerica e ha vinto il premio speciale della giuria al premio De Lollis. Nel 2011 ha vinto il premio di poesia Spinea e nel 2012 è giunto secondo al premio “Liliana Bragaglia” con il racconto inedito La bottega del libraio. Infine nel 2013 ha vinto il premio di giornalismo sezione ambiente “Vivi l’Abruzzo”. Nel 2015 è uscito il suo ultimo libro, il saggio Il canto silenzioso, viaggio nei segreti della poesia (edizioni Solfanelli) premiato nello stesso anno al premio di saggistica Città delle Rose di Roseto e finalista al premio Roccamorice.




Da InCANTI (1998)




Il vento


Ho conquistato il mio vento a tratti
soffiando la sua saggezza
    sulle vie e gli involi
…rinato io
     dagli echi di quand’ero sabbia e pianeta
E le inquietudini serbo       ora
gonfiandole come onde
come una vela che s’inarca all’orizzonte
Non sono ferito       non più di tanto
dal mondo e dalla sua storia
dalla crudezza che smorza l’incanto
PERÒ VI AMO
come in un ritorno
      gioioso e azzurro
       di un viaggiatore tra stelle e galassie
E COSÌ       tornato e rinato
vi dono questo sprazzo di pianto felice
la prova di me e della mia vicissitudine





La solitudine


Ho consumato                             la mia solitudine
                           a poco a poco
                intera                             come un lago di vetro
senza spargerla              senza infrangerla
Ho danzato a lungo sull’orlo del mare
                        nella scarna urna del giorno
e non mi sono tuffato
                                       non mi sono bagnato
solo ho sciolto le ore nel sogno
                                                         in uno spirare di ere e di iridi
Così ora poserò il capo
                                           sull’orlo del mare
ad aspettare che il vento si plachi
o involi via le mie parole come prole
              Così ora ti chiederò perdono
ché oggi solo questo posso offrirti:
la mia solitudine
             la mia infinta voglia di tuffarmi e di bagnarmi
                         e di nuotare fin dentro al cuore del mondo




Viaggiamo


Viaggiamo inerti nella nebbia o nel sole
ricchi di vento      e cieli      e canto
le nostre mani sono quelli di un albero
quelle di un fiume
                                  o del lago nascosto
Che ci sia neve o fango
                                        gioia o dolore
                  non importa
perché il sangue conosce la via
                                 e la mente ciò che sta oltre
la mente! se sa ancora sognare
il sangue conosce la fine
                                 e il cuore ciò che non muore
                  il cuore! se sa ancora amare





Come la neve


Come la neve vorrei adagiarmi sulle cose
e sugli uomini
sentirli in profondo
                in un abbraccio più vasto del mare e del cielo
Come la neve orrei scendere tra gli alberi
   e i prati
e ascoltare i cuori degli esseri
e comprenderli
capire il battito delle loro vite
Come la neve vorrei essere dovunque
e prendere la forma di tutte le cose
e stringere le mani del mondo
e che ci sia un sorriso in questa stretta
bianco e puro
piovuto adagio, come la neve
Come la neve vorrei, infine
                     sciogliermi al sole
a questo sole che a volte ci manca
a volte ci inonda
al sole che dà e toglie
al sole che nutre e brucia
ma non è mai nemico
come non è nemica la morte
Non è nemica la morte
quando morire è evaporare ai raggi dorati
sollevarsi in alto
attendendo una nuova forma
ed un ritorno leggiadro, all’infinito
Come la neve vorrei adagiarmi sulle cose
e sugli uomini
sentirli in profondo
in profondo





Da L’ALBA E L’ALA (2000)




L’amore sovrano


Oltre il mare, il vento, le stelle
oltre l’universo e la vita stessa
oltre noi e in noi, dovunque
al di là del regno e del sogno
negli spazi delle lune e delle eternità
dappertutto ci sia la magia di nuovi inizi
lì viaggia la meraviglia di te
l’incanto tuo e del tuo mistero
questo astro unico che noi siamo e respiriamo
e vola più forte di ali e cuore
e nuota più gioioso di grida e silenzi
e coglie il senso e il segreto del tutto
comprende l’alito di ogni essere
                   il cuore di ogni cosa
          il fiore e il fine di tutto
perché questo volo azzurro
             questa magia infinita
                è amore
                 sovrano
           senza respiro
                       senza tempo




mercoledì 13 aprile 2016

Franco Pasquale




Teatino di nascita, ma residente da anni a Pescara,  Franco PASQUALE , dopo aver compiuto studi classici presso il liceo –ginnasio “G.B. Vico” di Chieti, si è trasferito a Roma, dove, presso l’università “La Sapienza”, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza.
Appassionato di scrittura fin da ragazzo,  nel lontano 1975 , a 22 anni, ha ottenuto la iscrizione presso l’Albo dei Giornalisti Pubblicisti, per le sue collaborazioni con diversi quotidiani e riviste sia a livello locale che nazionale.
Autore in età ancora giovanile di alcune pubblicazioni di natura culturale, sociale ed economica, ha poi per molti anni abbandonato la scrittura per dedicarsi alla sua attività di imprenditore edile.
Tardivo , quindi il suo approccio alla poesia che coincide, nel 2012, con la  copiosa nevicata di febbraio che lo costringe a sospendere l’attività lavorativa  per alcuni giorni.
Da quel pur breve periodo di forzata inattività nascono i versi che trovano corpo nel suo primo tentativo poetico: “Tu eri come il fiume inevitabile”, edito da Noubs, Chieti , volume con il quale ha ottenuto premi e riconoscimenti in concorsi di poesia anche nazionali.
“Tu eri come il fiume inevitabile” è il doloroso percorso che il poeta annota nel corso della elaborazione del lutto per la perdita della moglie, avvenuta l’anno precedente.  Da segnalare la prefazione al libro di Ilaria Filograsso.
Al primo lavoro fa seguito, “Affinità (S)elettive, edito da Carabba di Lanciano, nel 2013,  volume in cui le poesie nascono dall’analisi e dall’emozione che gli derivano dalla osservazione e dallo studio di 20 quadri famosi (da Caravaggio a Van Gogh). E’ questo un libro scritto a 6 mani, dove Franco Pasquale è il poeta, mentre ad altri autori è riservata la parte critica di analisi dei quadri e della personalità dei pittori.
Ha pubblicato, nel 2013, per Noubs, Chieti,  “L’amore è un contrattempo” che in parte riprende i temi del primo volume e in parte trova nuove forme di espressione che nella postfazione Massimo Pamio  definisce “sentimento profondo della sacralità”.
Interrogato sul perché ad un certo punto della sua vita, alle soglie dei 60 anni, si sia messo a scrivere poesia, Franco PASQUALE risponde che la nevicata del 2012 gli ha “scongelato le emozioni” e che tuttora la poesia gli “scrolla di dosso i calcinacci del vivere quotidiano”. Una metafora chiara per un imprenditore edile.
Nel 2016 "Spiegami questo amore" edito da Tabula Fati.



Tu eri come il fiume inevitabile.


Tu eri come il fiume inevitabile
fertilizzavi le deserte zolle
da che veniva il grano degli dei.
E mentre l’altri corsi sul solstizio
scemavano lasciando i letti vuoti
d’estate regalavi la tua piena.
Mille e mill’anni vi placai la sete.


(da Tu eri come il fiume inevitabile, Noubs, Chieti, 2012)



L’isola di Ellis.



Forse riposo un po’
forse per sempre,
mantengo in quarantena
le emozioni
come sull’isola di Ellis
gli emigranti
marcati con il gesso
sulla schiena.
Qui smisto ciò che salvo
e ciò che nego
lungo la scala di separazione.
E il fuoco della fiaccola
è un invito
di l
ibertà
che contagia
e che temo.


(da Tu eri come il fiume inevitabile, Noubs, Chieti, 2012)



Io non credevo….


Io non credevo
di scrivere versi.
Guinzaglio e museruola
alle emozioni
che non fossero
mai libere
nei prati
di correre
e annusare
quel profumo
intenso
che ha
l’erba fienarola.
Nella soffitta
che non vede
il mare,
in un’antica scatola
di latta,
con su stampato
un volto di Van Dick,
nel fondo del baule
più riposto,
sotto cataste
d’altre masserizie,
dono di dolci
lieti consumati
nei dì di festa
di lontani inverni,
eran serrate
senza via d’uscita.
Poi venne il freddo
intenso della neve
e come il ghiaccio
galleggia
e dà riparo
all’acqua
più profonda
e salvaguarda
la multiforme vita
sottostante,
così
da tanto gelo
hanno avuto coraggio
le parole.



Da  Tu eri come il fiume inevitabile , Noubs, Chieti, 2012)



Ritratto della Madre



Ruga solco d’amore,
anzi d’amori.
Bianco appena accennato nei capelli

caduti sopra libri e dolci intenti
di sposa avvinta
e madre appassionata.
Ruga dono del tempo
coraggioso pegno
pagato alla fatica
e al viver chiaro
lontano dall’inganno
di Narciso.
Piccole crepe su animose dita,
mani capaci di carezze antiche.
Benefica lealtà ch’oltre non vole.
Tocco d’eterno semplice…
e ti doni.
Sai farlo sempre
senza condizioni.


(Da “Affinità (S)elettive, edito da Carabba, Lanciano, 2013, poesia ispirata dal quadro:  Ritratto della Madre di Basilio Cascella, olio su tela, Museo Cascella Pescara).



Braies


Ho sentito il tuo respiro
cavalcare sulle onde del lago
che amavi ,
macchiato dall’azzurro dei monti
e dal verde smeraldo dei larici.
Con più fatica
ho percorso il sentiero
verso il piccolo cimitero ungherese
dove sostasti
 in stupita  preghiera.
E a sera ho riconosciuto
i tuoi occhi chiari
nella fanciulla bionda
dalle lunghe vesti
che danzava leggera
al suono
di una piccola orchestra
tirolese ,
davanti alla Collegiata
circondata di tombe
nel cuore gioioso
di Innichen .
Solo qui, 
dove  i morti dormono
all’ombra di cupole antiche
e non sono mai allontanati
troppo dalle loro case
e ancora appartengono al borgo,
posso sentirti viva 
come quando 
il nostro sguardo
fuggiva nella valle
dal Picco di Vallandro.
La tua voce,
ostinatamente muta
nella cripta,
ora mormora
tra l’acqua fresca
della Drava.
E sei diventata il profumo
della calendula
e il sapore
del grano saraceno. 


(da” L’amore è un contrattempo”, Noubs, Chieti, 2013)



Ho memoria di te


Ho memoria di te ,
indifferente e sfumata
al brusio della pioggia.

Del mio respiro corto
come piccole
foglie secche
ingiallite.
La luna di vetro
svelava la sua missione
profetica
decisa  ad esigere
 il conto.
Incuranti  ci amammo
e fu
la  nostra accecata
rivolta.


(da “L’amore è un contrattempo” Noubs, Chieti, 2013)


sabato 9 aprile 2016

William Cerritelli


FRAGILE ROCCIA
Tabula Fati 2016

Prefazione di Lucia Vaccarella
Postfazione di Franco Pasquale


(dalla quarta di copertina)

     Una raccolta di poesie che riunisce le emozioni di dieci anni, emerse viaggiando per il mondo in compagnia dei sentimenti.
      Le speranze, e certamente anche le illusioni, di una vita vissuta alla luce di una utopia per la quale vale la pena continuare a vivere e battersi, anche se la luce è fioca, se le false primavere hanno soffocato l’entusiasmo, se il cuore è stanco e provato.
     
      La poesia è vissuta quale tempo sospeso, perduto e ritrovato, un sommesso rapimento melanconico, una carezza per sé stesso, una consolazione per le insufficienze dell’esistere, un conforto al proprio malessere per un mondo che il poeta sente molto diverso da quello per cui ha sperato e militato in politica, la narrazione infine, di una visione e di una speranza. È un percorso a ritroso nel tempo, lungo la storia di chi voleva un mondo diverso, ed oggi lo sogna ancora, ma ha guadagnato la coscienza dell’utopia.
      
 Marco Solfanelli


 C’è in questi versi come un’eco prolungata di illusioni che si stemperano, come tutto il resto, nel fluire del tempo. E sono poche le cose che hanno composto queste illusioni, così lontane dalle illusioni mitologiche di un Leopardi: l’amore, l’impegno, una più salda visione della vita e della storia. La poesia di William Cerritelli vuole essere dunque l’ombra di quel piccolo nucleo di speranze, un’ombra che si è allungata fino a sparire nella sera della vita. Questo se si rimane alla superficie del testo, perché in profondità si muove un complesso magmatico di sentimenti (e qui sono certo più i sentimenti che i concetti a prevalere sullo smarrimento) ben rappresentato dalla presenza quasi ossessiva di  termini che rimandano al campo semantico dell’ascolto, della vibrazione della parola: suono, musica, canzone, canto, grido, udire, ascoltare. Una parola che per essere stata così intensa da esprimersi in frequenza sonora, si è poi asciugata nell’altro termine opposto e complementare: il silenzio. La dicotomia suono/silenzio funziona nella poesia di Cerritelli come la spia di quello che si diceva delle speranze e illusioni, ma a un livello più profondo, che rivela o genera una ulteriore e diversa illusione o speranza, quella che ancora persiste e si diffonde nei suoi versi, di una voce nuova che possa parlare al di là del frastuono del mondo (“ogni rumore è vano incitamento”). Se fosse possibile azzardare, si potrebbe dire che in una poesia essenzialmente laica, esiste come una vocazione religiosa, intesa in senso di apertura a un significato rivelatore e ultimo della realtà. Non a caso il negativo di questo sentimento profondo è il “meccanismo” della vita o del cosmo, qualcosa che esclude il significato, o lo rimodula secondo le lingue morte della tecnica e della prassi storica. Il poeta che è ben consapevole dei “passi perduti”, i suoi e quelli degli altri, non si piega a questa logica da orologiai, a questa terra desolata di parole incapaci di dire, e a tratti sembra rinnegare perfino la voce della poesia: “la poesia di rumore ed acqua sporca/molto più intensa di quattro versi in croce”. Ecco il cuore del percorso sentimentale di un poeta poco incline a cedimenti estetici, che vuole o desidera una riconciliazione con l’essere, qualcosa che superi le discordanze della storia, sua e di tutti. E nasce così anche una involontaria estetica, quella per cui a contare sono “i buchi” nelle anime dei poeti, la loro disposizione morale, non l’adesione a una scuola o a una poetica (non a caso ricorre il nome di Cesare Pavese), non le certezze miserabili che si affermano come carriere, ma le “rotte sgangherate”. Eppure, anche se involontariamente (forse) egli si serve di collaudati elementi retorici, che adatta al movimento sotterraneo del suo poetare. L’apostrofe di montaliana memoria, qui però rivolta a se stesso, quasi a indicare uno sdoppiamento fecondo di dialogo, una tensione verso ciò che è stato ed è e sarà, ricomposto in un’unità fittizia e drammatica. Perché non c’è nostalgia in questi versi, non c’è desiderio di ritorno, ma scavo di conoscenza accompagnato da amarezza, lucida e in fondo anche densa di pietà. Un altro elemento retorico, sorprendente ma non troppo, se si pensa al richiamo a Pavese, è la metrica che, in un modo o nell’altro, ruota attorno al perno dell’endecasillabo, verso quanto più vicino alla prosa, di cui imita l’andamento sintattico, rimanendo lirico. E in fondo in ciò si riassume anche il senso complessivo di questa poesia, radicata nella storia ma protesa verso un orizzonte ideale che trascende la storia inverandola, o almeno giustificandola.


                                                                                                                       Lucia Vaccarella

AL LIMITE DEL MONDO SULLA VITA


Sole che splende in bocca del mattino
poi quella pioggia, però nulla cambia.
Anime libere serbano il ricordo
di chi sparì lasciando ancora un suono.
Lingua di creoli che già ti confonde
come confuso è ancora il sentimento
il sentire che sempre prende il cuore,
che il corpo alberga al pari di ferita.
Distanze che si aprono leggere
fan percepire quanto è relativo
l’andare per la strada presso casa
o persi per il mondo ad una meta.
La meta si, quella che non appare
che pare già incantare il tuo racconto
di scintille non fatue, ma serene
adesso che non sai più dove andare.
Non fa paura più lo sconosciuto
Il vecchio peso aiuta a rafforzare
la speranza del vero, quando  appare
la sera del tuo passaggio al mondo.



ACCADE PER CASO


Espressioni contrarie rompono il silenzio,
a sud venti impetuosi smuovono le nuvole
in tempeste che spazzano la strada
di chi non ha pensato a ripararsi.
Poco a poco la notte si distende
senso alla vita, scrupolo incostante
tenerezza perfetta assegna al giorno
minuti di pazienza assorti e calmi.
Restituisci al pianto il proprio sale
che sentano se in loro si risveglia
i viventi che insieme hanno ascoltato
dolore dei destini nati male.
Si è spento lentamente il ritmo rapido
che lascia il posto a una modesta nenia
e pochi versi e note lente e tenui
cantano già un silenzio assai presente.



PIETRE SUL MONDO


Pietre sul mondo rotto di passione
....almeno mi restasse qualche suono,
almeno osasse il canto farsi vivo.
Son reiterate scosse al piè del tronco
di un albero ch’è stanco di stagioni,
mill’anni e più di false primavere.
Annunci fatti senza che il tuo cuore
sentisse il tempo di quanta menzogna
si annidava in  parole assai gentili,
conti precisi senza mai un errore,
precise descrizioni di quel vuoto
nel quale annega il mondo di coloro
che dell’oblio fan stella polare
del nulla che ha perduto l’universo
in mille sensazioni sottopelle.
Di quando in quando un guizzo di dolore
poi tutto arriva dritto alla stazione
chissà se un giorno si vedrà la luce.



SNATURATE ORBITE


A volte il tempo non ti lascia ricordare
Solo il rimpianto resta come fonte
di note molto stanche e ancora vive
perché il suono di una voce le fa tali
ed il tuo il sentimento le compone.
Però ti resta facile guardare
tanto indietro che è difficile vedere
quelle mappe che un tempo hanno indicato
al mondo una speranza, a te il calore.
Ti senti ormai confuso in quelle strade
di gente tutta uguale e assai intonata
ai tempi di un cantare senza ritmo,
privo pure di qualsiasi melodía
che suona tutto facile, già visto.
Hai visto scomparir la gentilezza
tutto si esprime in algebriche certezze
la somma è uguale a zero, come sempre
soprattutto per te, che ti ci perdi
e ti rincula dentro un suono sordo,
e il tuo cuore stanco si affatica
cercando a tutti i costi la ragione
di tanta indefinibile idiozia
di tanto inascoltabile malsuono,
delle parole dette senza il cuore
dopo mille ripetuti  inganni.
Tutto si infila in vicoli deserti,
la nebbia lo nasconde, il cuore tace.



E' INUTILE GIOIRE


A poco a poco il cielo si avvicina
le nuvole nascondono il gran caldo
la pioggia tropicale lava il mondo
mentre trascina a valle quella terra.
A me pare che il mondo non sia stanco
né sia felice della sua memoria,
pensi soltanto a vivere il momento
dimenticando che cos'è la storia.
Milioni di minuti persi a ridere
a contar su qualcosa che non c'è
a lesinare sopra la coscienza
a limitare i propri sentimenti
e adesso che faremo, chi lo sa?
Nella mia anima si alternano i momenti
si danno il cambio in fila i sentimenti
vergogna per la gioia che io sento
dolore del dolore che si dà
immensa solitudine un momento
ed un momento dopo la speranza
che libera la mente dal tormento
di quanto non si è fatto sino qua
e ormai non è possibile cambiare
ché tutto si aggroviglia e non si muove.
Non so se ho costruito la prigione
dove i miei giorni scorreranno lenti
oppure se mi costa libertà
che pure sono andato indovinando
per le strade del mondo che ho incontrato
nessuna volta uguali, assai mutanti,
ma sempre piene delle mille pene
che tutti vivono, senza mai sapere
perché quello che è giusto non accade.
Folla di nomi, difficile a capire
mentre il sole esce timido quaggiù.



 POCO PIU' IN LA'


Più passa il tempo
e più non scrivo niente. 
Fa notte presto al fine dell'estate:
ai tropici fa notte in una volta,
come se dietro al mondo, ben nascosto,
stesse un signore che spegne quella luce
che lungo il giorno ti abbagliava a picco.
Più passa il tempo
e più non so che dire.
L'angoscia è già finita e viene il giorno
dopo notti di freddo nelle vene,
perché ti manca amore, come l'aria,
mentre la grande strada che tu vedi
non si riposa mai, attorno all'orologio,
un movimento senza molto senso
che già non vedi più, non puoi apprezzare
perché ti manca adesso anche la voglia
perché vuoi ceder passo senza amore
senza paura, senza più rancore
ai miti sciocchi, alle promesse false
che hai ascoltato con indignazione
tutte le volte che ci hai fatto caso,
quando il guardare si posava sopra
ai gesti stanchi, ripetuti invano
quando l'udire  sentiva raccontato
tutto l'orrendo armamentario di parole
che inganna chi vuol essere ingannato.
Più passa il tempo
e più le stesse cose.
E il tuo capire certo non aiuta
solo a chiamarti fuori ti é servito,
da una partita che non vuoi giocare
perché mentire non si addice al senso
di quello che hai passato nei tuoi giorni.
Così ricordi a volte inaspettati
o senza senso, come dice la tua amica
che per amore a te, cerca di dirti
che non vale sciupare il proprio umore
per chi non ha la voglia di ascoltare,
per quelli che considera fatica
l'uso della coscienza..... a navigare
per mari aperti, con bussola e sestante
ma senza costrizioni alla tua rotta
perché ti senta libero di andare,
ed anche perché senta la fatica
di non avere un ordine che scrive
quel che si deve e non si deve fare.
Forse poco più in là qualcosa arriva,
e adesso stai pensando a quegli sguardi
alle anime per cui ti sei stupito,
a chi ti ha regalato senza premio
la sua presenza silenziosa e attenta
ed ha vegliato i sogni tuo malgrado,
raccogliendo l'anima in pezzi per cantare
che l'amore è di un altro continente,
e per questo è soggetto al cedimento
a dispetto di chi già sta vivendo
direttamente, senza più aspettare,
o aspettando senza un elemento
che potesse provare a chi non crede
che stavi per venire, e camminavi,
spesso sfiorando il limite del vero
per accorgerti che ancora si poteva
dar alito a speranza (o ad illusione?)
sino a incontrare in strada quella mano
sicura e ferma di chi sa come amare,
e cura le ferite della vita,
e non può più aspettare di incontrarti.
Adesso si, che occorre fare il conto
guardare quelle rotte sgangherate
fissare bene nella mente fresca
il limite e l'inganno del presente
spiegare la speranza addormentata
e andare per cercare, come allora,
senza quel peso che mette la paura.



William Emilio Cerritelli, è nato a Chieti nel 1953. Brillante allievo di docenti del calibro di Salvatore Valitutti, Vittorio Bachelet, Aldo Moro, Federico Caffè ed altri si è laureato presso l’Università “La Sapienza” di Roma in Scienze Politiche, per poi perfezionare i suoi studi al Tavistock Institute of Human Relations di Londra, allievo prima e quindi amico fraterno di William Gordon Lawrence, recentemente scomparso. Il suo percorso professionale ha spaziato dal primo incarico presso il Censis fino ad incarichi presso UNICEF, ILO, IFAD, FAO, UNOPS, UND. Attualmente vive in Brasile, da dove continua a viaggiare in tre continenti per il suo lavoro, oggi principalmente basato sul policy making e la valutazione di grandi progetti.