mercoledì 1 giugno 2016

Dante Marianacci


Dante Marianacci è nato ad Ari (Chieti) e attualmente vive a Pescara dopo aver trascorso trent’anni in giro per il mondo come dirigente culturale del Ministero degli Affari Esteri. Poeta, narratore e saggista, ha pubblicato una trentina di volumi, tra libri di poesie, romanzi, antologie europee di poesia, narrativa e teatro, oltre a testi di saggistica, editi in varie lingue, in Italia e all’estero.
Tra le raccolte di poesie si segnalano: Come il gabbiano (1970), Un viaggio per Tiresia (1975), Isolette sulla terra (1977), Graffiti (1980), Maschere e fortilizi (1985), Cronachette praghesi (1990), I ritorni di Odysseus (1997), Signori del vento (2002), Lettere da Ulcisia (2008, 2011), Sconfinamenti (2010, 2013), Scenari della mente (2016).
È tradotto in undici lingue e ha tradotto in italiano, tra gli altri, testi poetici di Lawrence ferlinghetti, Vladimir Holub, Yang Lian, Charles Tomlinson.
È presidente del Centro Nazionale di Studi Dannunziani e vice presidente della fondazione Edoardo Tiboni per la Cultura.

Ha fondato e dirige da sedici anni la rivista di cultura internazionale Italia & Italy.



Selezione poesie 1965-2016



Da "Maschere e fortilizi"


FORSE LA VITA

Forse la vita è un romantico esistere
senza perdono, hai ragione ragazza
che sai disseccare le pene, deridere
il tempo e gioire di noia.
Non canta l’uccello che squadra
l’incàvo nel noce, non grida
il ragazzo che gioca sul rialzo
a strapiombo sul mare, s’incanta
soltanto. Un uomo vorrebbe coprirsi
d’un velo di polvere bianca
ma resta scoperto nel sole
cullato da un giunco nel vento,
a percorrere strade, a mutare stagioni.



Da  "Come il gabbiano"





TRA LE CIME VAGHE DEGLI OLMI


Tra le cime vaghe degli olmi
s’inerpica l’uccello solitario
(la ciurma è nel querceto).
Evanescente l’ultimo raggio
Nel portico antico si staglia
e l’Appennino rosato
rinnovato ha i suoi colori.
Confuso lo sguardo speranzoso
Del vecchio
Si perde laggiù tra le cimase
Cercando di scoprire qualcosa
Che non torna a la memoria.






TRA LE COLONNE SECOLARI

Tra le colonne secolari
s’espande l’incenso alle folle del mondo.
Maidì, fiore di pietra
invano cercammo il tuo mistero
sugli aspri monti della Migiurtinia.
A un passo dal cielo
immutato allora come ora il tuo silenzio
se solo un’ombra lasci sulla pietra.
Né il vecchio libro sa raccontarmi
più di un’antica storia d’amore
che infinita duri alle grazie del sole.



Da “Graffiti”





LETTERA A SEIFERT

Fianco a fianco percorriamo itinerari insoliti
piste desuete agli indiscreti occhi di chi è straniero.
I tuoi versi risuonano come tamburi
nelle mie orecchie svagate e dei tuoi amici poeti
che tu hai amato, che io ora amo.
È vero che la vita sfugge come l’acqua tra le dita
prima ancora ch’io possa placare la mia sete.
È vero che la vita fugge come l’acua tra le dita
prima ancora ch’io possa placare la mia sete.
È vero che non amano gli anni gli amori eterni
e i lunghi sogni che vengono al mattino rapidamente
svaniscono. È vero che sono i poeti a portare in tasca
le chiavi del mondo e pur se non s’intendono di leggi
sanno d’essere stati condannati a vita.
È vero. È vero. Tutto quello che dici è vero.
Ma dimmi, tu che sei stato il più incantato cantore
di questa maledetta voliera di Boemia, dimmi
dove cercare i seni dolci che sanno di mughetto,
e i cherubini, e i gelsomini, e le clessidre, le nuvolette,
i merletti e tutte le cose tue leggere e vaganti.
Ha una doppia vita questa bellissima donna capricciosa
e ogni giorno inventa, occulta, si trasforma,
incenerisce, faville sprizza, fino a quasi sprofondare
nell’abisso o a toccare le vette della luce.



Da "Cronachette praghesi"





IL SIGNORE DI BALLANTRAE


Non c’era un alito di vento. Non c’era pioggia.
Una insolita calma regnava
e il tempo rampicava come le rose
nei giardini dell’infanzia.

Un altro signore di Ballantrae
ramingava all’alba per i vicoli deserti
della città vecchia.

Ramsay, Scott, Burns, Stevenson, Fergusson 
Conan Doyle, MacDiarmid, Edwin Morgan
repentina è cambiata la mappa
del tuo vocabolario.

Lasciato il ponte di statue sul grande fiume
un mare si è aperto inesplorato
e ti ha riportato indietro nel tempo
a un lontano cantuccio di focolare
quando un libro illustrato di pirati
ti faceva tanto fantasticare d’altre terre e miti.

Era allora Edimburgo solo un punto
nella magica sfera del tuo immaginario
e la Lucia di Lammermoor
poco più che un sogno di Donizetti.

Eccoti dunque alfine giunto
in questa nordica Atene
dove fascino e contraddizioni
vanno ancora a braccetto con la storia.



Da "Signori del vento"





LA LINEA D’OMBRA


La linea d’ombra
che segue l’orizzonte dei pensieri
s’ingolfa al primo raggio di poesia.

Non è un miraggio
il fragile sentiero che conduce
al desiderio velato di un approdo.

Si fa voce a fatica il lamento
e bianche colombe affoltano il tuo cielo
d’altre vaghezze, d’un azzurro pallido.

A malapena stinge
il biancore dell’anima.

Se ti risvegliassi ora 
alla fanciullezza
se ancora ti svegliassi
al suono gaio delle campane
e delle rondini appena tornate 
che danzano a festa nell’aria
sotto la tua finestra di luce?

Non siamo noi solo bambini spaventati
creature fragili e sgomente?
Così ripete impaziente il filosofo
nel libro aperto sulla scrivania.

E’ notte, è ancora notte
grida il viandante intirizzito
nella deserta radura, rompe l’incanto
e ti proietta dentro
uno schermo impazzito
d’un inverno freddissimo da lupi.

L’ultima lampada lentamente si spegne
sul nudo palcoscenico del mondo.



da "Lettere da Ulcisia"





L’ORIZZONTE INQUIETO


Ora vorrei fermarmi qui
e non partire più.
E’ tempo di pensare
di serrare le porte
alle stanze dei sogni
riporre nel soffitto
le mappe già segnate
e svendere i bagagli
al primo viaggiatore
di passaggio.
Ora vorrei fermarmi qui
e non partire più
curare le fresche aiuole
del piccolo giardino
attorno alla mia casa
guardare il mare nostrum
dal colle in lontananza.
Ora vorrei fermarmi qui
e non partire più
ma l’orizzonte è inquieto
e pieno di colori.



Da "Sconfinamenti"





I MARCIAPIEDI


Calpestando i marciapiedi
di città e paesi
avrei voluto specchiarmi
nella limpidezza
di uno sguardo e confondermi
col rossore timido di un viso.
Avrei voluto ammirare il cielo
con gli occhi delle finestre fiorite
di garofani rossi e di gigli
e dei liberi prati di sole.
E nello scampanio di cuori felici
risalire ogni sera ansimante
la scala a chiocciola
fino all’abbaino
ricolmo di preziosi segreti.
Così non è stato
e nel calpestio rumoroso
sulle foglie ingiallite
d’un precoce autunno,
nell’immobilità di un altro cielo,
brucia con freddezza
l’ansia di sguardi inquisitori.
Avrei voluto un giorno scrivere
la poesia perfetta
come il corpo nudo
di una fanciulla conosciuta in sogno
darle forme lievi, insinuanti
come la bellezza inventata
dei capolavori.
Avrei voluto infine costruirmi
una casetta lassù, in un cantuccio
da qualche parte tra le nuvole
e abitarvi a tu per tu con i miei dèi.



Da "Scenari della mente"