venerdì 18 novembre 2016

Grazia Di Lisio


Poetessa e scrittrice di Cabras, Grazia Di Lisio vive tra Teramo e Pescara. Oltre alla passione per le “humanae litterae”, si è dedicata all’approfondimento del linguaggio teatrale, in Corsi di formazione triennali, in collaborazione con Enti teatrali d’Abruzzo, l’IRRE Lazio e La “Silvio D’Amico” di Roma, e nel Master di Perfezionamento, a cura dell’ETI di Udine. Nell’arco della sua attività professionale, conclusasi al Liceo Scientifico “A. Einstein” di Teramo, ha partecipato a varie rassegne di Teatro Scuola (Cavallo di Troia, Giostra di Orlando, Progetto Ilio; premio Pirandello) Ad Agrigento ha ricevuto il primo Premio sia per la sezione teatro sia per il corto e il Premio Didattica “Raffaele La Porta” - Pescara (2003-2004).
Ha pubblicato “Sa terra sonadora” (Noubs 2011), raccolta di canti sardi inediti con trascrizioni musicali (Premio Quartu S. Elena 2012) e cinque raccolte poetiche dal 2003. Ha ricevuto vari riconoscimenti, tra i più recenti, il Premio “S. Vito al Tagliamento” 2015 (segnalata) e il Premio “D’Annunzio” Pescara 2016. Ha presentato mostre di vari artisti abruzzesi e organizzato eventi in collaborazione con l’Associazione “Collurania” di Teramo. Crea ed elabora progetti in sinergia di linguaggi, mimo-poesia, arte-poesia; musica-poesia, in collaborazione con Enti e Associazioni culturali di Pescara e Teramo; il più recente “Black and White”, ispirato a Cecità di Saramago, in onda sul TGR il 15 aprile 2016 a cura di F. Masciangioli. È presente in Ossigeno nascente (Atlante online dei poeti contemporanei), nel sito online di Lietocolle, nella Collana Sentire, in cataloghi d’arte e nel film “Il Traghettatore”. Ha collaborato con A B C, il Monitore, Senza Titolo e La Tenda.



Poesie edite (Annoda fili acquei, Gedit, 2008)


Un‘offerta rubata

Si sfalda la rete dell’inganno
consueto e si resta a fissare
il destino dalla propria
impotenza umiliati.
Un riconoscersi appena -
un secco silenzio - .
Splenderà il fulgore di croco
nel brusio della vita appassita?
Non m’aspetto che questo:
un’armonia disarmante
nella spenta vivezza
un’offerta rubata.



Petali di croco

Raccolgo tra le mani
lacrime di gioia.
È il dio dei venti
                                           che
soffia sulle nubi
e i miei pensieri inonda.
È un dio
                                           che
scuote foglie di pallide betulle
e incontri tesse rari
a un insolito destino
nel giallo di emozioni
sfogliate nell’attesa
tra petali di croco
solo per consistere …
Oh l’attimo
                                         che
intona il canto
a fili di memoria
l’attimo tempesta di sorrisi!


Poesie inedite
Iperuranico

I
Invisibile cristallo io esisto
nel brivido amaro d’ogni giorno.
M’annego nel pensiero della fine
come ombra livida sull’onda.
Io non so perché brilli il firmamento
per vago senso di malinconia?
Pensare che un granello
si fissa nell’occhio del mattino
in ogni angolo d’ebbrezza.
Oh se un soffio spronasse alla bellezza -
potrei dire parole che non so …
di violacciocche e cisti negli angoli
assopiti come a risvegliare
i colori del pensare.


                                                                                                   
                                 
Frammenti

I segreti della materia

                                                              a Pinuccio Sciola
  
Lapides in corpore terrae / ossa reor dici corpo…, sono le pietre le ossa della terra, la grande Madre da cui si rigenera il mondo. Del pensiero ovidiano si fa erede Pinuccio Sciola, cantore delle pietra e fratello dei primordia che scandaglia l’aggregarsi e il disgregarsi materico, il suo metamorfico fluire, perché nella materia è la segreta armonia del tempo, prima dei grandi sconvolgimenti naturali, prima del giudizio universale e delle “Opere e i Giorni” esiodei. Un tempo senza tempo nel caos del Cosmo primordiale. Sciola sa ascoltare il respiro della pietra e risvegliarne il canto. Un canto di tempo e materia, sospeso tra terra e cielo, un canto d’acqua rappreso nella roccia grumosa come la vita. - “Io sono nato cinquemila anni fa” - dalla memoria del tempo, dice lo scultore dell’anima, l’uomo che con stupore infantile disvela l’essenza di pietra e di terra, accordando sinestesie di natura. La pietra in cui l’artista si identifica è il soffio vitale che si solleva oltre la morte, per risvegliare dal grembo della Terra il suo singulto. Con cuore di farfalla, l’artista scivola sulla densità del basalto e la leggerezza del calcare e intona alla pietra un ditirambo d’amore, perdendosi nel mistero pre-nuragico della sua terra, nella profondità dei pozzi sacri in cerca di luce, nei luoghi aborigeni dove la pietra è sacra. Sfiorando e pizzicando, orchestra le emozioni timbriche della vita come una spola che corre veloce sulla tela del tempo per tessere l’invida aetas di attimi vibranti e fuggevoli. Un artista che scavalca tempo e materia e si fa voce del Cosmo nel cosmo, spodestando le categorie terrene fino ad esprimere, nella mutevolezza plastica delle sue opere, il fascino misterioso del divino, un Dio nell’IO. Pinuccio scruta il simbolismo e interiorizza il suono facendo percepire agli umani un brivido di energia ancestrale. Acqua, aria, fuoco, cristallizzati nell’anima della pietra, riprendono vita al suo ciak sonoro, dopo secoli e secoli di silenzi. Un’arte che incontra le arti, in sintonia con la musica infinita di John Cage, con le forme armoniose di Renzo Piano e la turbolenza espressiva della poetica di Rimbaud in cerca di “terra… e di aria”.                                                                                                                                                                                                     
                                                                                                            
                   
 Grazia Di Lisio                                                                                    
I

Essere pietra o mare
assimilare il canto delle dune -
equoree voragini di tempo.
Smarrita in un granello del tuo mondo
ascolto la muta sinfonia 
le vibrazioni cosmiche
(nella giostra del dubbio dilagante)
dell’Uomo che se ne va e incanta
canta i cosmi stellati e accarezza
la zolla - l’uomo che svuota tombe
schiaffeggiate dall’onde
e schiude il cancello dell’ombre
ai desaparecidos del mare!
In abito di tulle accoccolate
le poseidonie vibrano sull’onda
come a segnare la nostra
inconsistenza ma sui sentieri rossi
di papaveri … lampi di inesprimibile
bellezza.

II

Lungo le balze scoscese
degli eventi ritorna il tempo
a rivi di colori come a un nido -
ha colore il suono
ha colore il canto della terra.
Fruscii cedono all’incanto
e a te che sei nell’ombra.



Tre haiku inediti

*
Come una virgola
s’addormenta la luna
nella pianura.
*
Falce di luce
attraversa in un lampo
alberi spogli.
*
Nel plenilunio
di sfocate atmosfere
rinasce il tempo.




domenica 16 ottobre 2016

Benito Sablone


“Abitavo la luce” 

Tabula Fati 2016

Dalla Presentazione di Vito Moretti

Gli aspetti che da sempre caratterizzano la poesia e l’impegno creativo di Benito Sablone, e che ancora in questa raccolta si ripropongono con sorprendente coerenza, sono la consapevolezza d’una condizione di mistero che è propria dell’esistenza, l’allusione ad una pregnanza dell’essere che va ricercata nel giuoco accattivante e speculare di realtà ed apparenza (e di positivo e negativo, di spirito e materia, di vero e falso) e il sentimento d’una fuggevolezza dei sogni e delle passioni che solo la parola – la parola esemplare del poeta – può rendere reversibile ed esausta e scandire persino fra le forme declinate e gli artifici sociali e culturali della storia.





*
Abitavo la luce
deliravo in sensi sconosciuti
partiva da me
o chissà da dove
un aereo plasma incandescente
fuso in questa forma
che ad altre riconduce
- mi attardo
in un destino provvisorio

Per la nascita
furente sono – e le antiche porte
d’avorio e di corno
sono precluse
fino alla morte




*
Nemmeno un soldo bucato
- miraggio dell’uomo sulla gradinata –
darei – nemmeno un soldo bucato

Molte cose dalle foglie del melo
oscillano – un colore un sapore
un’aurora un sospiro
il canto frenetico del beccaccino
- E sulla gradinata
dove il soldato il mercante
il principe il conte
il rosso prelato
hanno consumato un breve destino
qualcuno col mio nome
non un soldo bucato
riceve
per il suo – il mio breve destino



Era la terra un basalto
un occhio rivoltato
- dietro teneva il rivolo
del fiume alle parole
chiuse che dall’alto
impietrivano

Nella luce uguale
pendevano le nuvole
feroci – qualche stelo
guardava disperato


giovedì 13 ottobre 2016

Benito Sablone

POETI ABRUZZESI CONTEMPORANEI



Benito Sablone è nato a Pianella (Pescara), il 19 settembre 1935.
Ha esordito in poesia nel 1956 con la raccolta “Sangue verde”.
In seguito ha pubblicato: “Poesie” (Picchi, 1958), “Senso della terra” (Rebellato, 1960), “Gioco della verità” (Solfanelli, 1966), “Epigrafi cristiane” (Rebellato, 1973),  “La ragazza di Bratislava” (Allegranti, 1977),  “L’oro di Bisanzio” (Bastogi, 1978), “La rosa alessandrina” (T. Terenzio, 1981), “La ruota inchiodata” (Bastogi, 1981), “I sensi sconosciuti” (T. Terenzio, 1986), “Ereticali” (Biblioteca Cominiana, 1989), “Fuochi” (All’antico mercato saraceno, 1991), “A poco lume” (1993), “Poesie terrestri” (La Vallisa, 1993), “Monologhi e silenzi” (Newton Compton, 1994), “Ogni giorno un muro” (Tracce, 1994), “L’attesa” (All’antico mercato saraceno, 1996), “Uomini, donne e santi di paese” (Noubs, 2000), “L’angelo di Redon” (Tracce, 2004), “Che sia d’autunno” (Libro italiano, 2004), “Ciò che non accade” (2006), “Mutamenti e destini” (Edizioni Scientifiche Abruzzesi,2010), "Abitavo la luce" (Tabula Fati, 2016).
Ha dato alla luce anche volumi di racconti: “Arcadia” (Solfanelli, 1992) e “La casa del tempo” (Tabula Fati, 2013) e i lavori critici “Profili di contemporanei” (Adriatica, 1957), “Inediti e varianti di Vincenzo Cardarelli” (Dimensioni, a. X, n.5, 1996) e “Specchi ustori (Tracce, 1993).
E’ presente nell’antologia, a cura di Enzo Bianchi, “Poesie di Dio” (Einaudi, 1999) e in altre.
Per una conoscenza più ampia del suo primo periodo, cfr. Vito Moretti, “Il simbolo, il mito e la scrittura dell’utopia. Analisi della poesia di Benito Sablone, con testimonianze critiche” (Edizioni dell’Ateneo, 1987).
Tra i molti premi conseguiti, si ricordano, in particolare, Casa Hirta, Il Ceppo, Rhegium Julii, Matacotta, Città di Piombino, Marineo, Sybaris-Magna Graecia, Calliope, Frascati, ecc.


***


 da: PROLOGO-MONOLOGO (in: “Epigrafi Cristiane", 1973)


Mi vedo camminare sull’orlo d’un tetto, deciso.
Il comignolo oscura le sillabe vuote
e le pietre si nutrono di pioggia, assorbono
la luce densa, rovinosa di luglio.
                                                          Crepitano i vetri.
In ogni luogo – in questo luogo – salgono
i loro patiboli gli uomini che vogliono incominciare
a vedere. Troppo è il fuoco della danza isiaca
ed ogni momento appartiene al fiore e alla spada.

Sono in bilico, come qualunque altro,
sull’orlo della storia tra gente senza storia
mentre il tevere divide le sue acque fangose
sul dorso dell’Isola Tiberina. Galleggiano
nell’aria matrici spaziali, le cortecce
dei navigatori che tentano di esplorare
il punto di partenza delle cose, la nascita
dei morti che vivono con noi.
                                                     Di tutto il possibile
io so con certezza che gli dèi sono soltanto dèi.
Non oso aggiungere altro. Troppo apocalittico
è l’arco delle tenebre, la vicenda intrapresa
nella primavera del giardino. Se provassi
a chiamare qualcuno, potrei confondere
la tigre con l’uomo: e nessuno griderebbe.
Eppure la forza dell’amore è intatta,
vibra attorno al frutto delle stagioni, muove il Sagittario,
spinge il Carro nei cieli.
                                          Noi spingiamo
il sibilo del piombo, l’abitudine al sangue,
il gioco delle comete mortali, oscuriamo l’arcobaleno.
Sull’orlo del tetto cresce l’erbario del passato come la peluria
sotto il ventre del cinghiale. Eppure la mano rovista tanta saggezza,
anche se il treno è partito chissà per dove, ormai dissolto
nel suo stesso essere. Rimane la belva che annoda
il fuoco delle voglie nella ricorrente vigilia delle mattanze.
Basterebbe un passo, girare l’angolo dei secoli
per modificare le curve dei pianeti. Sugli alberi e sulle colline
essi galleggiano, calati nel buio voluminoso del silenzio,
mentre nei nostri cortili la nebbia riposa a brandelli
sulle dita fredde dei platani.
                                                   Per tutta la mia generazione
alzo la mano al soffitto. “Se vi trovate a passare
nel mio tempo senza scopo e senza ragione,
aprite la porta dei venti che sbiancano il sole
e spingono gli uccelli del nord ai pozzi della primavera.
La via che sale e quella che scende
sono la stessa cosa per chi la percorre. Così diceva
il greco antico, Eraclito, che amava vivere dentro i perché.


***


 da: MONOLOGO DELLA METAFORA OSCURA (in:  “Monologhi e silenzi” 1973 - 1993)


I

Le giovani signore giocano con le biglie
sui pavimenti a scacchi,
si divertono a ridere per niente
mostrano denti pericolosi.
Fuori i gatti furiosi per il vento
fanno lamenti di bambini
da sciogliere in lacrime,
mentre le forme più strane
si muovono lungo i muri.
La città non è deserta,
non è deserta la stanza,
i pallidi merletti viola
si muovono come farfalle intorno al tavolo
- i fiori secchi scricchiolano
perché un uomo col mantello è entrato
muovendo l’aria.
Anche i quadri dal muro si sollevano
mentre le signore
chine al loro gioco
si fermano a guardare se sono in ordine,
se la cattedrale del trucco
ha resistito a tanti movimenti.




***


Poesie scelte da “L’Angelo di Redon” (1989 – 1996)  Ed. Tracce 2001


*
Se la pioggia torna
e la foglia e la neve
e se torna la domanda
gorgo azzurro di voce
dietro il vetro e lo smeriglio
che sfoca il cerchio
                                   in luce
diffusa –
se l’angoscia compatta
disegnata nel gelo
meraviglia del calcolo supremo
torna
                 Da dove?


*
Per lavarti i piedi
non saprei
con quali aromi
entrare in confidenza
Tu concedi
per carnali segni
la sapienza
                    - ma nei cieli
tra le luminarie
ti nascondi
insieme agli altri dèi



*
Anna ti prego non pulire
i vetri lascia la polvere
sui cocci non asciugare i piatti
non chiudere le ore
nel cassetto
Tutto è così perfetto
nell’universo
che l’ordine non c’è



*
All’apologia del dire e del fare
preferisco l’immobilità
lo sguardo sugli eventi
la distanza
Decifrare lontano dalle cose
stando nel confine della ragione
nella fertilità
delle prove disperate

mercoledì 12 ottobre 2016

Franco Pasquale


Spiegami questo amore

Tabula Fati 2016

Dalla presentazione di Massimo Pasqualone


Nei suoi componimenti, Franco Pasquale è alla ricerca continua del significato che anela dietro e  in ogni vissuto emozionale, un dipinto a pennellate ora forti ora pacate mei disperate, per raccontare la voglia della scoperta, il celato inesplorato, appunto, come le” carezze invisibili” percepite senza la mano che tocca o il corpo di una donna che rende l’uomo virtuoso, debole e incapace.
“Spiegami questo amore, cosa è l’amore?”
Ad un tratto l’amore e la sua luce si uniscono alle stelle, le tane si svuotano e ogni battito non ha tempo, le certezze si annullano e si scopre il bianco, il colore più bello, il vento diventa la casa più ambita, ci culla e ci emoziona, illudendoci di trasportarci in luoghi e tempi che sembrano all’innamorato essere l’unico, grande privilegio.





Spiegami questo amore
nato nella miniera abbandonata,
quella oltre il ponte
che non volevo percorrere,
fatto di sudore e grida
e di respiro corto.
Spiegami questo amore
e lava da me
questa colpa
d’essere solo un uomo,
fragile,
con le sue rughe
inesorabili.

martedì 13 settembre 2016

Peter Russel -This is not my hour




“This is not my hour” 
 Peter Russell
Studio e traduzione a cura di Raffaello Bisso
Edizioni del Foglio Clandestino 2010





La vicenda personale di Peter Russell è legata in maniera così indissolubile alla sua poesia, da assumere i connotati di un romanzo. Nato a Bristol nel 1921, fu poeta a tempo pieno, condusse una vita da bohémien viaggiando per il mondo fino al suo approdo in Italia negli anni '80. 
Quando si stabilì a Pian di Scò, in Toscana, era già considerato uno dei maggiori poeti inglesi viventi. Qui trascorse gli ultimi anni della sua vita, in quasi totale isolamento.
A questo libro si deve il merito, non soltanto di aver portato alla luce testi assolutamente inediti del poeta, ma di sottolinearne lo spessore umano attraverso il racconto affettuoso del suo giovane amico e valente traduttore Raffaello Bisso.
Si tratta, quindi, a mio avviso, di un documento di notevole importanza storico-letteraria, consegnato ai lettori italiani dalle edizioni del Foglio Clandestino nel 2010.
L'opera si compone di una raccolta di Sonetti, forma metrica particolarmente consona al pensiero russelliano, aventi come tema centrale la critica aspra e attualissima della società occidentale osservata nel sua progressiva deriva etica e culturale. Il Poeta non può far altro che assistere impotente alla caduta dei valori e prenderne atto con versi amari e perentori non privi tuttavia di una vena ironica che ancor più sottolinea la miseria spirituale del nostro tempo:

You won’t find wandering holy men or fools

in Europe now, or hermits in dark caves.
Europe is where the film-producer raves
And counts the Euros wound upon his spools,
And for a song bad blood is shed in pools,
Fashion supreme, the soldiers come with staves
For the dissident, children are sold as slaves,
And man is made a regiment of mules.
….............                                (Russell)             

Non trovi santi o vagabondi
oggi in Europa, né eremiti in grotte buie.
L'Europa, è il produttore di film in delirio
che conta gli Euri che girano sul fuso,
e il sangue è sparso a pozze per due soldi, la moda
è suprema, ci pensa il soldato col bastone
al dissidente, i bimbi sono venduti come schiavi
e l'uomo è ridotto a moltitudine di muli.
…...........                                    (Bisso)


Pervaso ormai da un sentimento di profondo scoramento, persuaso che quel mondo non richiama in lui nessun vincolo di appartenenza, il Poeta se ne allontana, rifiuta ogni bene materiale che non sia strettamente necessario e sceglie di isolarsi in una dimensione che gli consenta di vivere secondo i propri canoni di armonia. “Posseduto dalla bellezza, restìo a possedere”, vive in un vecchio mulino adibito a casa, nelle campagne aretine circondato da migliaia di libri e molti gatti posti a guardia delle sue ricchezze in una “waste land” che non può non rimandarci a T. S. Eliot.

Seven savage wild cats guard my lone abode. (Russell)
….............
Sette felini selvaggi presidiano la mia solitaria dimora. (Bisso)


Uniche consolazioni alla vecchiaia che avanza irreversibile acuendo nell'uomo il senso di fragilità e impotenza (“at sixty-four I feel I haven’t started”) l'alcol, il fumo, il cibo, i carteggi con i maggiori letterati italiani dell'epoca, quali  Quasimodo, Montale, Ungaretti.
Morirà solo, quasi cieco e in completa povertà nel 2003, lasciando in eredità all'Europa il suo disprezzo e la sua maestosa opera tutta ancora da meditare.

….........
“No one, it seems, has any purpose now
Unless to pile up money, corner power,
Or to become the hero of an hour,
The passive victim of publicity.
Whoever now would listen to a plea
For sanity? Comrades, this is not my hour.
                                                    
….........    (Russell)

…..........
Nessuno, pare, ha ora altri obiettivi
che di ammucchiar moneta, accantonar potere
o diventare l'eroe di un quarto d'ora,
passiva vittima della celebrità.
Chi mai ascolterebbe ora un'istanza
di saggezza? Compagni, non è questa la mia ora.

…...........  (Bisso)